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Elezioni in America: come si elegge il Presidente degli Stati Uniti?

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di Redazione

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Le elezioni in America sono seguite in tutto il mondo per la rilevanza che il Presidente degli Stati Uniti ha non solo per l’economia e la gestione del paese, ma anche nei rapporti con gli altri Stati e con organizzazioni internazionali come la NATO. Capire come funzionano le elezioni negli Stati Uniti d’America, richiede innanzi tutto il discostarsi da quelle che sono tenute in Italia. Infatti, il percorso d’elezione del Presidente richiede un percorso politico che si articola in varie tappe e che congeniale alla forma presidenziale dell’assetto politico, oltre che al federalismo che da sempre caratterizza il paese. Dunque, non si ha un voto diretto nelle elezioni in America ma si segue un processo a più livelli dove ogni passaggio ha un peso specifico.

Le primarie e i caucus: il laboratorio della politica americana

La corsa alla Casa Bianca non inizia con il voto di novembre, dunque, ma molti mesi prima, quando i partiti scelgono chi sarà il loro candidato, quello che poi nel corso delle elezioni sarà il volto dell’intera campagna. Negli Stati Uniti in genere c’è un bipartitismo, quindi i partiti principali sono il Partito Democratico e il Partito Repubblicano, a volte però a questi due partiti che sono i più rilevanti, si può aggiungere un terzo partito che in genere è considerato un outsider, e che ad oggi non ha mai portato all’elezione di un presidente. Dunque, i partiti principali, in genere il partito Repubblicano e il Partito Democratico scelgono i loro candidati attraverso un’elezione che avviene Stato per stato o attraverso le primarie o mediante caucus. I caucus sono delle assemblee dove gli elettori discutono tra loro e si schierano pubblicamente in favore di un candidato. Questa fase non è solo un passaggio tecnico: è il momento in cui si misura la forza di un candidato, la sua capacità di raccogliere fondi e di attrarre volontari. In un paese vasto come gli Stati Uniti, la macchina organizzativa conta quanto le idee, perché senza una rete solida di sostenitori diventa impossibile affrontare la campagna nazionale.

Le convention

Dopo mesi di consultazioni, i delegati scelti durante le primarie si riuniscono nelle convention nazionali. Qui il partito ufficializza il proprio candidato e annuncia il nome del vicepresidente. È un momento altamente simbolico, costruito anche per i media: discorsi solenni, celebrazioni e l’avvio della campagna vera e propria. La convention serve a chiudere le divisioni interne e a presentare al Paese un fronte unito, pronto a sfidare l’avversario.

Elezioni in America: una campagna sempre più mediatica

Nessun’altra elezione al mondo ha la stessa dimensione spettacolare di quella americana. I dibattiti televisivi, i comizi oceanici, la presenza costante sui social: tutto contribuisce a creare un evento mediatico che dura mesi. Da Kennedy e Nixon in poi, la televisione ha reso evidente quanto conti saper comunicare. Un gesto, una frase ben riuscita o al contrario una gaffe possono incidere sull’orientamento di milioni di elettori. A differenza di quanto accade in Europa, la campagna non è nazionale nel senso stretto: ogni candidato concentra le energie sugli swing states, gli Stati in bilico che possono determinare l’esito. Florida, Pennsylvania, Michigan o Wisconsin diventano così i terreni di scontro più duri, perché convincere pochi elettori lì significa conquistare decine di grandi elettori.

Il voto popolare e il peso dell’Electoral College

Il giorno fissato per le elezioni federali è il martedì successivo al primo lunedì di novembre. In quell’occasione gli americani votano, ma non scelgono direttamente il Presidente: eleggono i grandi elettori che formeranno l’Electoral College. Ogni Stato ha un numero di grandi elettori proporzionato ai propri rappresentanti al Congresso, per un totale di 538. Per vincere ne servono 270. In quasi tutti gli Stati vige la regola del winner takes all: chi prende un voto in più, conquista l’intero pacchetto. Solo Maine e Nebraska adottano un sistema diverso, basato sui distretti. È questa regola a rendere possibile che un candidato ottenga più voti complessivi ma perda comunque le elezioni. È accaduto cinque volte, l’ultima nel 2016: Hillary Clinton raccolse circa tre milioni di voti in più di Donald Trump, ma non raggiunse la soglia necessaria di grandi elettori.

I grandi elettori e la certificazione

Una volta eletti, i grandi elettori si riuniscono a dicembre nei rispettivi Stati e votano formalmente per Presidente e Vicepresidente. La loro funzione è per lo più cerimoniale, ma la Costituzione lascia uno spazio di libertà. Alcuni, in passato, si sono espressi contro il risultato del proprio Stato, diventando i cosiddetti faithless electors. Non hanno mai ribaltato un’elezione, ma rappresentano un’anomalia che rende ancora più particolare il sistema. Il passo successivo è la certificazione del Congresso, fissata il 6 gennaio. In quell’occasione i voti vengono conteggiati e il vincitore proclamato. Il 20 gennaio, durante l’Inauguration Day, il nuovo Presidente giura davanti al Campidoglio e assume ufficialmente l’incarico.

I punti di forza e le critiche

Il sistema americano nasce per garantire equilibrio tra gli Stati e per impedire che le aree più popolose dominino completamente la politica nazionale. Da questo punto di vista, l’Electoral College svolge una funzione di bilanciamento. Le critiche, però, non mancano. La campagna finisce per concentrarsi quasi esclusivamente sugli swing states, lasciando ai margini intere regioni. Il peso dei finanziamenti privati è enorme e solleva domande sulla reale equità della competizione. E il fatto che il voto popolare possa non coincidere con la vittoria finale alimenta da tempo discussioni sull’opportunità di riformare il sistema.

Un meccanismo che riflette l’identità del Paese

Guardare al processo elettorale americano significa guardare a un Paese che si percepisce come un’unione di Stati prima ancora che come una nazione centralizzata. Ogni fase - dalle primarie all’Electoral College - mostra la volontà di distribuire il potere e di tenere conto delle specificità locali. Per questo motivo le elezioni presidenziali americane non sono solo una competizione politica: sono un rituale che racconta molto della cultura statunitense, della sua attenzione all’equilibrio tra centro e periferia e della capacità di trasformare la politica in uno spettacolo globale seguito in tutto il mondo.
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